Navigazione Toscana Piroscafo Elbano Gasperi 25/4/1930
Nella notte del 22 ottobre del 1943, in un tratto di mare non lontano da Porto Santo Stefano, la nave posamine della Marina Tedesca Juminda, fu silurata da 3 torpediniere delle Forze Alleate. Nell'affondamento che ne seguì trovò la morte gran parte degli uomini dell'equipaggio.
Non era nata per diventare una nave da guerra, la Juminda, e nemeno per portare quel nome. Elbano Gasperi si chiamava, uscendo nel 1928 dai Cantieri Navali di Genova, come quel volontario di Portoferraio che durante i moti patriottici del 1848, dalle parti di Curtatone correva con i vestiti a brandelli da un pezzo di artiglieria all'altro a far fuoco contro gli Austriaci. E con tale italianissimo nome la Elbano Gasperi traghettò onestamente passeggeri, posta e materiali tra l'Elba e il continente per una quindicina d'anni. Era solo un traghetto, allora, di 59 metri di lunghezza e 742 tonnellate di stazza. Le mine, lei, non sapeva nemmeno cosa fossero. Ma giunse la Guerra e la tranquilla Elbano Gasperi, nella peggiore tradizione marinaresca, fu arruolata a forza nella Regia Marina, trasformandosi in nave ausiliaria, con l'insulso nome di F 8, a presidio di Portoferraio e dell'Elba.
La Juminda a La Spezia
Il 27 settembre del 1943, però, il suo destino cambiò radicalmente. A seguito dell'armistizio dell'Italia con gli alleati, fu catturata dai tedeschi e inglobata, come nave posamine, nel Minenschiffsgruppe WestItaly con base a La Spezia. Al suo comando fu assegnato il Capitano di corvetta Dr. Karl Friedrich Brill, nato a Stolzenau nel 1898, pluridecorato per i grandi successi che non pochi dispiaceri avevano procurato alla Marina Russa sul fronte baltico.
Brill era stato l'ideatore e l'artefice, alla guida del Minenschiffsgruppe Cobra, della barriera minata "Juminda", nel golfo di Finlandia, che aveva provocato l'affondamento di quasi 40 navi nemiche.
Da quella famosa barriera, il nuovo nome per la piccola sfortunata nave.
Più di 70 marinai tedeschi sostituirono i 14 italiani che si trovavano ancora a bordo. La bandiera della Kriegsmarine sostituì il Tricolore con lo scudo sabaudo e la corona
Torpediniera USA analoga alla PT 212
La situazione era grave per i tedeschi: le ultime truppe avevano appena lasciato la Corsica ed uno sbarco alleato sul continente era dato per altamente probabile ed imminente. La Juminda doveva minare il più presto possibile le rotte di rifornimento nemiche. Il comandante e l'equipaggio sapevano che per svolgere questo compito avrebbero avuto bisogno di molta fortuna. La nave era molto lenta - riusciva a malapena a raggiungere gli 8 nodi in confronto ai 30-40 nodi delle più veloci navi alleate - a causa delle cattive condizioni dei motori e dell'assenza di manutenzione della carena . L'armamento, limitato ed antiquato era costituito da due cannoni da 76 mm e qualche mitragliatrice. In tali condizioni, se intercettati dalle forze nemiche, ben difficilmente avrebbero potuto trovare scampo.
Il 5 ottobre, caricate 62 mine a bordo, massima capacità di carico, la Juminda lasciò La Spezia con due dragamine di scorta per la sua prima missione . Altre ne seguirono l'11 e il 16, rispettivamente di fronte a Fiumicino e a Terracina. Tutte le missioni furono gravate da inconvenienti tecnici ed operativi. Durante l'ultima la Juminda e i dragamine di scorta subirono l'attacco aereo di 4 Spitfire inglesi che causò danni e la morte del nostromo di bordo.
Il capitano Karl Friedrich Brill
Il 21 0tt0bre alle 9.00 la Juminda lasciò La Spezia con il suo consueto carico di mine per la sua ultima missione sulla costa laziale. Sarebbe stata l'ultima, era stato detto all'equipaggio, poi la nave sarebbe stata messa in disarmo e la maggior parte degli uomini avrebbero fatto ritorno a casa. La felicità sembrava a portata di mano! La accompagnava il raumboot R199. Più tardi, si sarebbero uniti l'R 187 2 l'R 201.
Sedici minuti dopo la mezzanotte le navi tedesche apparvero sugli schermi radar delle torpediniere USA PT 206, PT 212 e PT 216, che, lasciata la loro base alla Maddalena, stavano pattugliando il tratto di mare in prossimtà dell'Argentario. Nel buio della notte le navi tedesche furono scambiate per un naviglio mercantile. Il comandante della flottiglia DuBose diede ordine di attaccare la nave più grande, la Juminda. Le PT 206 e PT 216, da una distanza di circa 800 metri, lanciarono due siluri ciascuna che fallirono il bersaglio. Fu poi la volta della PT 212. Quando il primo siluro colpì la Juminda, questa cominciò ad affondare di poppa. Il comandante Brill sapeva che la nave sarebbe affondata molto rapidamente e mentre la sirena cominciava a suonare all'impazzata, gridò a gran voce a tutti di abbandonare la nave. Lui stesso ed altri marinai si gettarono in mare a babordo. Qualche istante dopo il secondo siluro centrò il bersaglio sullo stesso lato della nave, uccidendo gran parte degli uomini in mare. La Juminda in meno di un minuto scomparve sott'acqua mentre le tre torpediniere si avviavano di ritorno alla base. I dragamine di scorta, zigzagando tra le mine disseminate sulla superficie, riuscirono a trarre in salvo 16 superstiti, in gran parte gravemente feriti . Il comandante Brill fu tra i 63 uomini dell'equipaggio che quella notte persero la vita. Il suo corpo fu recuperato in superficie due giorni dopo. I sopravvissuti ed i corpi che fu possibile recuperare furono portati a Porto Santo Stefano. Due giorni dopo avvenne la tumulazione dei caduti, con gli onori militari, nel cimitero di Orbetello. Il corpo di Brill fu successivamente esumato e traslato nel cimitero di Pomezia, vicino Roma.
Il siluramento della Juminda fu inizialmente attribuito dai comandanti dei dragamine di scorta ad un sommergibile. Solo la testimonianza di alcuni sopravvissuti permise di risalire alla verità. Il luogo esatto dell'affondamento è rimasto per lungo tempo sconosciuto. Solo nel 2002 il relitto è stato individuato vicino a Porto Santo Stefano a 4 miglia dalla costa. Spezzata in due tronconi distanti tra loro una trentina di metri, la Juminda giace su un fondale melmoso ad una profondità di 95 metri.
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