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Nato a Vasto (Chieti) il 16 apr. 1864 da Federico e da Isabella Celano, era entrato giovanissimo all'Accademia militare di Torino e, diventato sottotenente di artiglieria, aveva già al suo attivo una medaglia d'argento al valore civile, essendosi distinto per la sua abnegazione a Napoli in occasione dell'epidemia colerica del 1884.
"Destinato in Africa con le batterie da montagna "siciliane", si imbarcò a Napoli, il 17 dic. 1895, sul piroscafo "Singapore". In terra africana partecipò al combattimento svoltosi nei pressi di Mai Maret contro i ribelli di ras Sebath, e, con la terza batteria di montagna, alla battaglia di Adua, dove assunse il comando del reparto per la morte del suo capitano, Eduardo Bianchini. Fatto prigioniero e condotto ad Addis Abeba fu liberato dopo quattordici mesi, e raggiunse Massaua il 25 apr. 1897. Decorato di medaglia d'argento al valor militare e promosso capitano, venne nominato consigliere della Società africana e fu proposto dal generale M. F. Albertone per la croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia.
"Scoppiata la guerra in Africa, spinto da quello spirito indomito che lo portava a trovarsi sempre protagonista in prima linea, fu tra i primi a recarsi in Eritrea. Dopo aver combattuto il 25 febbraio 1896 a Mai-Maret, contro ras Sebhàt, ad Adua si ricoprì di gloria: dell’eroica artiglieria della Brigata Albertone, fu l’unico ufficiale superstite. Ecco come il Cordella descrisse le ultime fasi della cruenta battaglia: “Gli eventi precipitavano. L’onda degli Scioani stringeva ormai definitivamente il suo cerchio di ferro e di fuoco. Colpito al ventre stramazzò l’eroico capitano Bianchini, cui a compenso della mirabile condotta non volle la sorte risparmiare la vista dell’orrenda distruzione… Poco dopo anche il tenente Boretti lo seguiva nel cammino dell’immortalità… Moltiplicaronsi eroicamente il sergente Tripepi, il caporal maggiore Salto ed il caporale Trainito. Fu l’ultimo rantolo dell’artiglieria bianca. Colle lancie e colle sciabole in pugno gli assalitori si precipitarono sui pezzi emettendo urla feroci, animandosi come ossessi nella loro ebbrezza di sangue. La testa spaccata da un fendente, cadde alla mia destra il caporal maggiore Salto, mentre il sergente Tripepi rimaneva svenuto dissanguato per le ferite ed io stesso nella lotta corpo a corpo venivo ridotto all’impotenza e legato con la mia sciarpa”.
Seguirono tredici mesi di dura prigionia. Per quasi tre mesi passò da un villaggio all’altro quasi denudato e a piedi scalzi; la notte dormiva all’aperto sotto la rugiada e la pioggia, a stento riusciva ad alleviare la fame mangiando erba e bevendo l’acqua putrida dei pantani. Furono momenti molto difficili, ma Ernesto Cordella non si diede mai per vinto e, passati i momenti duri, cominciò a farsi apprezzare operando per lo sviluppo di quelle regioni ancora profondamente arretrate, costruendo ponti, nuove strade, insegnando nuove tecniche di coltivazione dei campi e come costruire una casa.
Alla vigilia del suo rientro in Italia scrisse alla madre: “Dall’Italia ho ricevuto e ricevo continuamente belle lettere, esse formano la mia unica gioia e mi confermano nell’idea che fare il proprio dovere è il maggior vanto di un uomo. Al mio ritorno sentirete che son degno figlio dell’Abruzzo, e che mai, come adesso, mi sento di essere vastese…”. Tornato in Italia, fu promosso capitano e decorato con la medaglia d’argento al valor militare."
Quando la lettera giunse a destino quindi era stato già liberato.
Veramente un documento molto interessante e raro.
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