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MessaggioInviato: 26/01/2017, 10:24 
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Iscritto il: 19/05/2015, 19:41
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Località: COLLEGNO (TORINO)
Chiesanuova è un sobborgo di Padova, dove alla fine di giugno del 1942, vi fu aperto un campo di concentramento per internati civili jugoslavi, principalmente sloveni, allestito nei locali dell’attuale caserma Romagnoli.
Comandato dal tenente colonnello Dante Caporali, il campo disponeva di sei grandi padiglioni in muratura, di dieci locali minori, ed era circondato da un muro perimetrale di quattro metri d’altezza, intervallato ai quattro angoli da garitte per le sentinelle. Ognuno dei sei padiglioni — sottoposto al comando di un ufficiale — costituiva un settore autonomo.
Ciascun settore, a sua volta, era costituito da due «file» (o reparti), ognuna delle quali comprendeva sei cameroni, comunicanti l’uno con l’altro senza sbarramenti di sorta. Al di là dell’ultimo camerone vi erano le latrine e un grande lavatoio collettivo.
I primi internati — 1429, tutti di sesso maschile e originari, per la gran parte, della «Provincia di Lubiana» — giunsero a Chiesanuova il 14 agosto 1942 per trasferimento da Monigo.
A un mese dall’apertura del campo, il numero dei reclusi raggiungeva le 2129 presenze; ma, tra ottobre e novembre, circa 1500 internati venivano trasferiti nei campi di Renicci e di Arbe. Al loro posto, quindi, subentravano la maggior parte degli «internati militari» jugoslavi precedentemente reclusi nel «campo minore» di Gonars. Successivamente, a partire dal gennaio ‘43, giungevano diversi altri trasporti che, in estate, avrebbero portato il totale degli internati a 3410 unità. I più significativi provenivano dai campi di Zlarino (186), Arbe (300) e Ustica (500).
Le condizioni di vita furono molto dure. Sul piazzale del campo era stato installato il palo delle punizioni, una specie di gogna, al quale venivano legati i responsabili di infrazioni mentre nei sotterranei erano state predisposte le celle per le pene di tipo detentivo. Il vitto giornaliero garantiva al massimo 700 calorie, per cui — stretti dai morsi della fame — i reclusi ricorrevano ai familiari e agli amici rimasti liberi, sollecitando l’invio urgente di viveri. Ma i pacchi con cibarie e generi di conforto vi poterono arrivare regolarmente soltanto dall’autunno del 1942.
Durante l’inverno, gli internati trascorrevano le giornate nei cameroni, rannicchiati l’uno accanto all’altro sui letti a castello, per difendersi dal freddo. Dal punto d vista abitativo, tuttavia, le solide strutture in cemento della caserma, di per sé, davano un relativo conforto e un certo senso di sicurezza rispetto alle tende e alle baracche di molti campi «per slavi». Migliori, rispetto a quelle dei civili, furono le condizioni di vita degli «internati militari». Essi, generalmente, conducevano vita piuttosto riservata, isolandosi nei propri reparti, in quanto — per via della resa ingloriosa dell’esercito jugoslavo del 1941 — non godevano di molte simpatie tra i loro connazionali.
Quella che presento è una cartolina postale da 30 cent con affrancatura aggiuntiva di 50 cent.,scritta in italiano, inviata da un tenente di vascello, prigioniero nel campo, in data 8 Febbraio 1943 per la Germania, con i bolli di censura tedesca e italiana.Riccardo.


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