Mi dispiace moltissimo non poter più fare con lui delle belle chiacchierate in dialetto, cosa che lo ammansì al nostro primo incontro, che sarebbe meglio definire scaramuccia. Era la sera della cena di Palmares di Roma 97, una nazionale in cui ero stato l'unico allievo giurato e quindi il presidente, Enzo Diena, mi aveva messo a fare il segretario della giuria e nella premiazione chiamavo i premiandi sul palco della sala per ricevere diplomi e medaglie. Il risultato per una delle sue collezioni aveva innervosito il professore, che cominciò ad agitarsi, venendo a protestare sotto il palco, tra l'altro ricordando alla giuria che a tutti i partecipanti in classe campioni spettava la medaglia d'oro grande. A quel punto dal palco mi rivolsi a lui dicendogli in napoletano che riuscivamo a fare solo una cosa per volta e che il meglio lo avevamo tenuto per chiudere e che quindi pazientasse un attimo. La cosa lo prese in contropiede e se ne tornò al suo tavolo, aspettando la chiamata per la classe campioni. Da quella volta divenne una consuetudine parlare in dialetto quando ci si incontrava e per entrambi era ormai una specie di teatrino che ci divertiva molto. La sua collezione di Cavallini di Sardegna fu in varie occasioni un argomento di reciproco sfottò: lui mi chiedeva se mi era piaciuta la sua collezione di interi postali ed io gli rispondevo che mi faceva piacere che avesse cominciato a collezionare carta bollata e che lo avrei nominato socio onorario dell'Afiscal. Ormai erano anni che non ci incontravamo: m' rispiac' assaie, Prufessò. Michele
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