rogerbarrett ha scritto:
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Conclusione.
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Mi sento sereno immaginando che quando poi finalmente si leggeranno i contenuti della sentenza magari si riderà del circo architettato attorno alla vicenda, si rivaluterà il giudizio emesso contestualizzandolo alla gravità dei fatti giudicati, che temo ben diversi da quelli raccontati.
Il resoconto giornalistico iniziale presentava effettivamente una titolazione ''ad effetto'' sul reato di collezionare francobolli (quando i francobolli in se' non c'entravano) ma la sostanza dell'articolo iniziale pubblicato dalla ''Stampa'' conteneva parecchi elementi veritieri sulla sentenza. A prescindere da quanto affermato dalla ''Stampa'' e da Giovanardi, come giornalista (ancorche' in pensione) mi sono preso la briga di andare a leggere la sentenza stessa e posso confermare che alcune considerazioni espresse dal giudice pongono dei problemi al collezionismo di oggetti postali provenienti originariamente da archivi di enti pubblici in senso lato.
La vicenda era stata innescata dalla denuncia presentata dalla direttrice di un archivio di stato di una localita' del Nord che aveva riconosciuto, in alcuni (pochi) pezzi in vendita su eBay, degli oggetti sottratti appunto all'archivio di sua competenza. Indagini svolte hanno permesso di individuare le persone che avevano avuto accesso all'archivio (e che come tali avevano dovuto lasciare le proprie generalita'). Ma la procedura cui si riferisce la sentenza non riguarda i presunti autori dell'illecita appropriazione, ma due persone che successivamente hanno avuto in qualche forma la disponibilita' degli oggetti suddetti: un perito filatelico (assolto) e un commerciante (condannato). Gli accertamenti hanno riguardato sia gli oggetti in questione (alcuni venduti e finiti all'estero) sia oggetti trovati nella disponibilita' degli imputati in base a perquisizioni o ad esibizione da parte degli imputati stessi. Sono stati formulati vari capi di imputazione in gran parte caduti in sede processuale. Tuttavia del materiale sequestrato sono stati restituiti agli imputati soltanto gli oggetti che risultavano acquisiti in aste o vendite e di cui esisteva la prova dell'acquisizione lecita. Buona parte del materiale sequestrato, compresi oggetti relativi a capi di imputazione caduti (per prescrizione o per altri motivi), e' stata girata ai carabinieri perche' provvedano alla restituzione - ove possibile - agli enti pubblici ''titolari''. Nella sentenza, infatti, il giudice ha avanzato una serie di motivazioni ''generali'' che respingono le ragioni della difesa che aveva appunto ricordato le norme sulla dismissione di carte d'archivio non rilevanti. Il giudice ha effettivamente argomentato che queste norme di sdemanializzazione non costituiscono una presunzione a favore del detentore che e' tenuto a dimostrare la legittimita' del possesso. Ribaltando quindi quanto affermato in un parere qualche tempo fa espresso dal ministero dei beni culturali, parere che ovviamente non ha forza normativa. Ecco alcune frasi tratte testualmente dalle considerazioni generali del giudice:
''Il dato storico dell'esistenza di tali procedure (sdemanializzarione,ndr), però, non può, di per sé, essere invocato a decisiva giustificazione del possesso in capo ai privati detentori di qualunque documento tratto da un archivio pubblico per effetto di una sorta di presunzione d'avvenuto scarto, che opererebbe ogniqualvolta l'originario proprietario pubblico non sia in grado di fornire la prova positiva del contrario''.
''Si consideri, inoltre, che
-la procedura di scarto non legittima la libera commercializzazione dei beni "scartati" ma, al contrario, i documenti "scartati" all'esito della procedura devono essere distrutti
- in ogni sdemanializzazione deve essere redatto un elenco dei beni sdemanializzati (quanto meno della loro tipologia), la cui copia accompagna ogni singolo documento "scartato", fornendo cosi la prova positiva dell' avvenuto scarto''
''Ed è evidente che se l'archivio pubblico o il privato divenutone detentore non sono in grado. di abbinare quel dato documento ad un elenco giustificante lo scarto, deve concludersi che il documento è stato illecitamente sottratto dall'archivio''.
Dal punto di vista penale, comunque, la condanna riguardava solo oggetti riconosciuti da responsabili di archivi pubblici come sottratti. Ma le frasi della sentenza riportate danno un'idea del rischio implicito nel possesso di alcuni documenti provenienti da archivi di enti pubblici. Secondo me, la sentenza si inserisce quindi in una serie ricorrente di sequestri e procedimenti giudiziari (magari poi archiviati in istruttoria) che si registrano episodicamente da decenni. Il fatto e' che ''traffichini'' vari hanno assai spesso nel corso dei decenni saccheggiato senza scrupolo gli archivi pubblici mettendo sul mercato materiale difficile da distinguere da quello ''recuperato'' dalla sdemanializzazione e dal macero. C'e' quindi un confine da tracciare tra la tutela del materiale degli archivi pubblici (sempre a pesante rischio di sottrazioni, stanti anche scarsita' di mezzi e personale e la carenza di adeguate norme di 'prevenzione' come perquisizioni all'uscita dalla sede degli archivi medesimi) e la circolazione di beni da collezione spesso irrilevanti o quasi per la funzione di tutela del patrimonio pubblico: dirlo e' facile, farlo non lo e' affatto.